Venerdì 17 marzo il governo Gentiloni ha cancellato per decreto i voucher, senza quindi far passare il loro destino per un referendum.
Nati il 14 febbraio 2003 per mezzo della legge 30 (più comunemente nota come legge Biagi o legge Biagi/Maroni, poiché quest’ultimo ne fu il primo firmatario in qualità di ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, durante il secondo governo Berlusconi) come strumento di retribuzione del lavoro occasionale, dovevano servire a contrastare il lavoro nero. il presupposto era infatti quello di spingere i più propensi ad evadere le tasse verso una regolarizzazione del lavoro, che servisse a mettere al sicuro sia il lavoratore che il datore.
Il primo avrebbe avuto la copertura INAIL, il secondo non correva il rischio di sanzioni per l’assunzione in nero del personale dipendente, a fronte del pagamento di una tassazione inferiore rispetto a quelle delle altre tipologie di contratti.
Ogni voucher aveva il valore di 10 euro per ogni ora di lavoro; di questi 10 euro, 7.50 euro andavano nelle tasche del lavoratore, mentre i restanti 2,50 euro venivano divisi tra INPS (sia come fornitore che come gestore) ed INAIL. Inoltre, il loro utilizzo non poteva superare i 7000 euro/anno netti per quanto riguardava i lavoratori ed i 2000 euro/anno pagati dal datore verso lo stesso lavoratore (in certi limitati casi 3000 euro/anno).
Qui sorgeva il primo problema: l’ammontare massimo annuo percepibile tramite voucher, non permetteva di raggiungere la soglia minima che dava diritto ad avere un anno di contribuzione pensionistica.
Vero è che i voucher dovevano servire ad arrotondare il reddito di un lavoratore e non a diventarne l’unica fonte, però questa questione poteva essere studiata meglio fin da principio, magari con un po’ di lungimiranza visto quello che è successo a partire da circa 5 anni dopo.
Come se non bastasse, infatti, con lo scoppio della crisi del 2008 lo strumento dei voucher ha subìto una distorsione di quella che doveva essere la sua vera natura. In tempi di ristrettezze economiche dovute al tracollo degli ordini di lavoro, i datori hanno cominciato a non riuscire più a far fronte al pagamento delle buste paga dei dipendenti con la conseguente riduzione di ingenti percentuali del numero del personale.
La tassazione italiana, che si attesta al 68.6% dei profitti ed la più alta al mondo (fonte: World Bank “Doing Business 2011”), non ha di certo aiutato a sopportare il quadro generale ed i datori hanno iniziato ad utilizzare i voucher come strumenti di retribuzione fissa anziché occasionale. Visto il sempre crescente numero di disoccupati, una volta raggiunta la soglia massima pagata da un datore verso lo stesso lavoratore, non era certo un problema trovare nuovi dipendenti disposti a lavorare tramite voucher (magari spinti dalla necessità di dover mantenere la propria famiglia), innescando un turnover legato a questo ciclo vizioso.
Sotto questo punto di vista, i voucher sono diventati uno strumento criminale che altro non ha fatto se non incentivare una corsa al ribasso dei salari. Così, il fenomeno sempre più dilagante ha cominciato ad arrivare sotto la lente d’ingrandimento di tutti e a far nascere polemiche sempre più accese. La discussione è aumentata ogni giorno di più, mettendo in luce le problematiche legate al loro utilizzo, oltre che questioni etiche e sociali con le quali i cittadini si sono trovati a dover convivere ogni giorno.
La situazione si fa più pesante ogni giorno che passa fino ad arrivare ai giorni nostri e si decide di indire un referendum sull’abolizione o meno del loro utilizzo. Prima che questo avvenga, però, il governo Gentiloni decide di abolirli senza che si passi per un referendum.
Il Consiglio dei ministri, in data 17 marzo 2017, dà infatti il via libera al decreto legge che prevede la soppressione dei tre articoli del Jobs Act legati ai buoni lavoro, ovvero i numeri 48, 49 e 50.
Voucher eliminati. Problema risolto? In realtà no, per tre motivi. Il primo è inerente al fatto che comunque qualcuno che li usava correttamente c’era e questo porterà un danno ai beneficiari (ad esempio studenti che lavorano qualche ora nei week-end, genitori che arrotondano tramite lavori serali o picchi di commesse per qualche azienda, etc.). Il secondo, di conseguenza, che indurrà molto probabilmente i datori a far tornare di moda il lavoro nero, provocando un aumento del sommerso che può solo nuocere sotto tutti i punti di vista.
Il terzo, che ancora una volta la democrazia viene dimenticata: la scelta non viene fatta passare per un referendum, ma viene presa in maniera inamovibile da un governo.