Dopo i nuovi record storici di agosto quanto può durare la corsa di Wall Street? Analisti e gestori temono l’intensificazione dei dazi
I tre principali indici Usa hanno segnato nuovi record storici proprio sul finire di agosto. L’S&P500 è arrivato quota 2.900 punti, il Dow Jones Industrial a 26.000 e il Nasdaq Composite ha infranto gli 8.000 punti.
“È il bull market più lungo della storia”
certifica Carolyn Bell, investment manager equities di Kames Capital.
“Anche se – aggiunge – non è riuscito a eguagliare i guadagni di quello vissuto negli anni ‘90”.
Il responsabile principale dell’ennesimo record storico di Wall Street è stato il dato sul Pil Usa del secondo trimestre. La seconda lettura ha fissato la crescita al 4,2%, sopra le stime del consensus (4,1%).
Quanto può durare ancora?
Se lo stanno chiedendo un po’ tutti, dagli analisti agli investitori, con riguardo sia al rialzo del mercato azionario sia alla crescita dell’economia Usa.
Sul fronte economico, secondo l’indicatore GdpNow della Fed di Atlanta, gli Stati Uniti hanno ancora fiato per correre. La stima di crescita per il terzo trimestre si attesta al 4,6%. La Federal Reserve può così continuare nella politica di normalizzazione dei tassi di interesse che, aggiunge Bell
“gli investitori azionari statunitensi hanno accolto positivamente lanciando così il segnale che l’economia Usa e forse anche quella globale è pronta ad abbandonare la sua dipendenza dai fondi delle banche centrali. Un altro elemento da considerare è il fattore Donald Trump”.
Il presidente degli Stati Uniti gioca un doppio ruolo:
“Da un lato può essere definito Mr Deregulation – e viene apprezzato per questo dai mercati – dall’altro lato rappresenta il principale rischio, di natura politica, con la sua battaglia sui dazi. Portare avanti una politica isolazionista potrebbe essere un autogoal per Trump. L’idea base è che sia un’arma da poter usare nelle negoziazioni ma business e mercati apprezzano la stabilità politica” conclude Bell.
“Nel complesso i mercati finanziari statunitensi sono supportati da utili e attività aziendali forti, così come da una solida crescita economica. La crescita degli utili nel secondo trimestre è risultata maggiore delle attese e l’85% degli utili comunicati ha mostrato sorprese al rialzo”
completa il quadro Esty Dwek, senior investment strategist di Natixis IM, mentre John Weavers, gestore del fondo M&G North American Dividend Fund lancia l’allarme:
“Spesso mi chiedono quale sia a mio parere la minaccia maggiore che grava sul trend rialzista della borsa Usa. I tassi di interesse in salita? L’inflazione? Una possibile regolamentazione per i Faang? Sebbene questi elementi pongano tutti rischi potenziali sulla forza degli utili, il tema che mi preoccupa maggiormente è quello dei dazi – e la prospettiva che quello che attualmente si configura come un battibecco di piccola scala possa trasformarsi in una vera guerra commerciale globale”.
Anche gli Stati Uniti pagherebbero “dazio” in questo caso:
“Gli Stati Uniti sono il più grosso importatore al mondo di acciaio. Prezzi più elevati significano costi di input più alti per moltissime aziende. Lo abbiamo visto durante la stagione delle trimestrali, con società come Coca Cola e Caterpillar che hanno annunciato aumenti dei prezzi al di fuori del consueto ciclo. Al momento, sembra che l’economia sia abbastanza solida da assorbire questi aumenti di prezzo, ma ciò potrebbe cambiare in caso di un’ulteriore escalation. Se dovessimo raggiungere il punto in cui gli aumenti dei prezzi non potranno più essere controbilanciati, saranno i margini ad essere impattati” conclude Weavers.
Verrebbe in questo caso minato uno dei pilastri su cui si è fondato il rialzo di Wall Street: la forza degli utili.
Il protezionismo potrebbe favorire la piccola America
Il rischio dazi potrebbe essere meno sentito dalle piccole imprese statunitensi. A spiegarlo è Francesco Lomartire, responsabile di Spdr ETF’s per l’Italia:
“Durante l’ultima guerra commerciale, avvenuta tra febbraio 2002 e novembre 2003, le small cap statunitensi hanno registrato performance migliori rispetto alle large cap, ai titoli dell’Msci Europe e dell’Msci Acwi 5”.
Non è l’unico motivo che spinge Lomartire ad avere una view positiva sulle small cap statunitensi:
“Ci aspettiamo una forte crescita degli utili delle small cap dell’indice Russell 2000, di circa il 25,6% il prossimo anno, molto più elevata rispetto alle performance delle società a grande e media capitalizzazione. Inoltre attualmente le small cap vengono negoziate a un prezzo relativamente più basso rispetto al rapporto prezzo/utili dell’S&P500. In secondo luogo storicamente la correlazione tra l’indice Russell 2000 e la crescita del Pil statunitense è stata forte . Questa correlazione suggerisce che le small cap tendono a registrare buone performance quando l’economia è in crescita. State Street Global Advisors stima che quest’anno il Pil degli Stati Uniti crescerà ad un ritmo del 2,9%. Infine – conclude Lomartire – i flussi hanno recentemente registrato un trend al rialzo, sia nei fondi comuni che negli ETF e una tendenza analoga è identificabile anche nel mercato delle opzioni”.