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Wall Street al quinto anno di rialzi. E ora?

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MILANO (WSI) – La borsa di New York e quella di Francoforte, a quattro anni esatti dai minimi, si trovano di nuovo sui massimi storici del 2007. Dai minimi del 2009 l’SP 500 è salito del 134 per cento, mentre la borsa tedesca è raddoppiata. Anche la produzione industriale dei due paesi è tornata sui livelli pre-crisi.

Gli utili per azione dell’SP 500, nel 2007, erano di 83 dollari. Nel 2013, secondo David Kostin di Goldman Sachs, saranno di 107. Il rapporto tra prezzo dell’indice (1555) e utili (107) è 14.5.

I bull market azionari, come le famiglie felici di tolstoiana memoria, si assomigliano tutti tra loro, quanto meno nelle fasi psicologiche che attraversano. All’inizio, quando i prezzi sono stracciati e si dovrebbe comperare ad occhi chiusi, prevale il pessimismo. Il primo anno di rialzo è vissuto con estremo scetticismo, si parla di un rimbalzo tecnico cui seguiranno nuovi minimi ancora più devastanti. Sono i mesi interminabili in cui non si parla d’altro che di double dip.

Chi manifesta l’intenzione di comprare è trattato come un incauto e deve portare mille certificati di salute mentale e finanziaria prima che l’intermediario si degni di acquistargli qualcosa.

Il secondo anno vede il terrore di una ricaduta dissiparsi gradualmente. Del double dip continua a parlare una minoranza di perma-bear, ma il mercato si comincia invece a preoccupare di una possibile ripresa dell’inflazione, dell’avvio di un ciclo di rialzo dei tassi e di un crollo del comparto obbligazionario.

Nel terzo e quarto anno si comincia ad accettare l’idea del bull market, ma si preferisce lo stesso rimanerne fuori. Il ricordo del crash è ancora fresco e la prudenza prevale sull’avidità.

Nel quinto anno si spalancano le porte dei mercati a tutte le classi di investitori. Comprare azioni diventa una cosa normale e giusta, perché così fan tutti. Chi passa un ordine d’acquisto all’intermediario si vede trattato come chi ha fatto un’ottima scelta, intelligente e assennata. Nessuno chiede al compratore se è sicuro di quello che fa e se il suo acquisto, peraltro ancora senza leva, è compatibile con la sua salute finanziaria complessiva.

Nessuno fa notare al compratore che poteva anche svegliarsi prima. Tutti hanno infatti l’impressione che il rialzo stia cominciando in quel momento e che i quattro anni precedenti non siano che un lungo prologo o, come si dice oggi, un prequel.

Questa è la fase in cui ci troviamo in questo 2013. Ci si sveglia dal letargo, riposati e pieni d’energia, e si inizia la grande e graduale migrazione di massa verso l’equity. I prezzi di borsa, ovviamente, non sono più bassi. Sono però giusti e chi compra ha l’impressione di non strapagare.

Dal sesto anno in avanti i prezzi cominciano a essere alti. È questa la fase in cui gli intermediari rincorrono gli investitori e propongono loro di finanziare a leva ulteriori acquisti.

Chi non compra è considerato e si considera uno stupido, un perdente. Le quotazioni sempre più alte vengono spiegate con la teoria che questa volta è diverso. L’eccitante novità delle ferrovie a vapore, della radiofonia, di Internet (o dei tassi d’interesse eccezionalmente bassi) rende obsolete le metriche tradizionali e giustifica il ricorso a nuovi strumenti in sintonia con i tempi.

Naturalmente ogni bull market presenta qualche sua caratteristica originale. Il nostro, che verrà ricordato come il rialzo degli anni Dieci, è accompagnato da una crescita molto bassa, anche se costante, da tassi altrettanto bassi, da una monetizzazione del debito sempre più aggressiva e dall’esistenza di un’area problematica, l’Europa, vasta, importante e potenzialmente esplosiva.

Arrivati a questa altezza, prima di celebrare e di comperare aggressivamente è bene fare una verifica della solidità del quadro d’insieme e delle sue parti.

Il quadro d’insieme vede i due motori principali della crescita, Stati Uniti e Cina, incamminati su una via di espansione sostenibile. La crescita americana, per quanto poco esaltante, è molto solida e non è inflazionistica. I fattori che la sostengono sono numerosi e ben diversificati (edilizia, auto, reindustrializzazione, energia, solidità delle banche, ripresa degli investimenti). La loro forza bilancia la graduale diminuzione dello stimolo fiscale e lascia spazio per una crescita tendenziale netta vicina al 2 per cento.

La Cina, che negli ultimi giorni ha pubblicato una serie di dati deludenti, è comunque impegnata in un grandioso progetto di urbanizzazione che la terrà impegnata nei prossimi due decenni. Chi si preoccupa per qualche migliaio di palazzi vuoti deve considerare i 200-300 milioni di persone che nei prossimi anni si trasferiranno dalle campagne e andranno ad abitarli. Quanto al breve termine, ricordiamo che le vendite d’auto sono su nuovi massimi storici, così come la produzione di acciaio, per la quale si era cominciato a temere un declino strutturale e irreversibile.

Ai due motori principali va poi aggiunto un Giappone che sta ritrovando aggressività sulla base di politiche finalmente diverse da quelle degli anni Novanta. Basta con i ponti verso isole deserte e le autostrade in mezzo al nulla, la nuova linea è di riformare il lato dell’offerta, non solo di alimentare domanda purché sia. Quanto all’America Latina, oltre a un Messico particolarmente dinamico e sicuro di sé va considerato un Brasile più incerto, pasticcione e contraddittorio nelle sue scelte, ma pur sempre in grado di produrre un tasso di crescita non disprezzabile.

Se non si considera l’Europa il mondo appare dunque piuttosto solido e perfettamente in grado di giustificare i livelli attuali dei mercati azionari.

C’è però l’Europa, come è noto, dove la crisi continua e per certi aspetti si aggrava. Il paese più sano, la Germania, è entrato in una fase di crescita bassa dovuta alla piena occupazione e alla scarsità di investimenti. Dopo quello dei primi anni Duemila, un nuovo ciclo di grandi ristrutturazioni è annunciato da molte importanti imprese.

È un fatto positivo per i loro azionisti, ma avrà qualche conseguenza negativa sull’occupazione e sulla domanda interna. La Francia riuscirà a evitare un prolungamento della recessione solo con un disavanzo pubblico più alto. La Spagna è sempre in contrazione e non riuscirà nemmeno quest’anno a riavviare la domanda interna. Un piccola luce è però visibile, l’export in crescita grazie al recupero di competitività. L’Italia è molto più indietro su questo terreno.

Preoccupa, in Europa, la perdita di consenso rispetto all’euro, non solo in Italia ma anche in Germania. La situazione non è ancora compromessa, ma perché non si mettano in moto processi di disgregazione irreversibili occorre che non si facciano errori e che il resto del mondo continui a crescere. Anche a queste condizioni, tuttavia, l’assetto europeo rimane molto precario.

Con una Germania che annuncia tutta soddisfatta l’obiettivo di un surplus di bilancio dal 2016 e con una Bce che, unica tra le grandi banche centrali, sta riducendo la base monetaria dell’eurozona è difficile trovare driver di crescita. C’è l’allentamento fiscale, certo, ma in mancanza di riforme di struttura (difficili da intravedere in Italia e Francia) ci si limiterà a guadagnare un po’ di tempo mentre il debito continua a crescere.

L’impressione, quindi, è che la crisi europea, in questo 2013, sarà congelata, non risolta. I mercati si faranno bastare il silenzio della Germania su quello che sta succedendo intorno a lei, un silenzio che durerà fino alle elezioni di settembre. Nel frattempo si metteranno cerotti sbrigativi qua e là, come si sta facendo con Cipro e come si farà con la Slovenia.

Quanto all’Italia, si proverà, qualunque cosa succeda, a girarsi dall’altra parte e a invocare il cielo. I mercati attaccheranno lo spread solo se avvertiranno un espresso disappunto tedesco. Se questo, come è probabile, non verrà manifestato, i Btp saranno oggetto quando necessario di piccoli avvertimenti, non di attacchi frontali.

Il 2013 è un anno in cui le borse tenderanno a salire per inerzia, non per fattori positivi non ancora scontati. Le banche centrali non le disturberanno in nessun modo. Un’accelerazione della crescita, paradossalmente, potrebbe interrompere il bull market e suscitare l’attesa di politiche monetarie meno espansive, ma difficilmente si verificherà.

Detto questo, anche i bull market inerziali e benedetti dalle banche centrali hanno i loro momenti di pausa e di ritracciamento. Le borse corrono senza interruzioni significative ormai da più di nove mesi e una pausa sarebbe fisiologica. I dati macro americani sono stati negli ultimi tempi piuttosto buoni, ma l’asticella delle attese a questo punto si è alzata e qualche delusione potrebbe creare il pretesto per una correzione.

Rimaniamo moderatamente positivi sul dollaro, negativi sulla sterlina e neutrali, nel breve, sullo yen. I bond non soffriranno di tutti quei mali che molti pronosticano loro, ma offriranno, salvo qualche eccezione, un ritorno modesto a chi ancora crede in loro.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.