Un martedi’ nero per Wall Street, con il peggior calo in assoluto dai tempi degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, causato da una serie di notizie negative concomitanti: dalla debolezza delle borse cinesi, ai timori di un brusco rallentamento economico globale, passando per i conflitti geopolitici che tengono alta la tensione sui mercati.
L’effetto volano del crollo cinese (Shangai Composite -8.84%, comunque un’inezia rispetto al +174% da meta’ 2005) e del crollo dei beni durevoli a gennaio in America (-7.8%) si e’ fatto sentire con potenza inusitata. E sul fronte geo-politico ha colpito anche il tentativo di assassinio del vice Presidente degli Stati Uniti Dick Cheney in Afghanistan. Il Dow Jones ha chiuso con una perdita del 3.29% a 12216, l’S&P500 e’ arretrato del 3.44% a 1399, il Nasdaq ha chiuso in ribasso del 3.86% a 2407.
Tra i settori peggiori: Steel -7.2%, Commercial Printing -6.5%, Coal and Consumable Fuel -6.1%, IT Consumer Services -5.9%, Gold -5.9%. Il volume e’ stato molto alto, a riprova della forza ribassista sottostante: sul NYSE 2.338 miliardi di azioni scambiate rispetto alla media di 1.508 miliardi, sul Nasdaq 3.064 miliardi di titoli scambiati, rispetto ai 2.037 miliardi di una seduta media. Le azioni in calo hanno stradominato rispetto a quelle in rialzo, con 455/2866 sul NYSE, e con 281/2834 sul Nasdaq. Un mare di rosso.
Il clima e’ di panico contenuto, con alte dosi di dramma; e il massacro potrebbe continuare, si sente dire dai piu’ esperti. Non solo ci sono una serie di dati macro Usa in arrivo questa settimana che potrebbero dare ulteriori soddisfazioni ai ribassisti, compresa la revisione del GDP degli Stati Uniti mercoledi’, ma la correzione globale e la violenza del ribasso americano potrebbero innescare il famoso e deleterio effetto-domino su tutti i mercati. Qualche operatore a New York parla senza mezzi termini di “bagno di sangue” in arivo, pochi suggeriscono di “buy the dip”, e cioe’ comprare sui minimi. “L’intensita’ e la profondita’ delle vendite e’ a livelli che non si vedevano dal crash dell’ottobre 1987”, ha scritto in una nota per RealMoney James “Rev Shark” DePorre.
In termini di cronaca borsistica, il Dow Jones ha accusato un improvviso crollo dopo la meta’ seduta e nel giro di pochissimi minuti l’indice ha fatto segnare una perdita monstre di 546 punti (cioe’ -4,14% sul bottom). La rapidita’ del calo a candela ha sorpreso tutti gli operatori, ma solo in tarda serata si e’ capito, grazie a un comunicato, che l’altissimo volume di scambi in borsa aveva causato un problema tecnico nell’aggiornamento del listino, il che ha portato le quotazioni del Dow Jones ad essere bloccate per diverso tempo, rispetto alla performance reale. Di qui poi l’effetto “caduta a candela”. Il Nasdaq ha perso al bottom oltre 100 punti, un calo superiore al 4%. Subito dopo sono intervenuti i primi buy sui livelli piu’ scacrificati, e il DJIA ha recuperato circa 200 punti dal minimo.
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A nulla e’ valso il blocco delle vendite computerizzate deciso qualche ora prima dal New York Stock Exchange, una misura di regolamento per limitare le vendite sul mercato azionario nelle fasi di estremo ribasso (non scattava da tempo immemorabile). Secondo alcuni broker di grandi banche d’affari gli ordini di vendita sul NYSE (sistema misto elettronico e grida) si erano accumulati e non riuscivano ad essere eseguiti; si sono sbloccati all’improvviso come una valanga e gli indici sono scesi a picco. Problema che non e’ esistito per l’elettronico Nasdaq.
Il Dow Jones non accusava un crollo cosi’ pesante dal 17 settembre 2001, quando 684 punti furono persi il giorno in cui Wall Street riapri’ le contrattazioni dopo 5 giorni consecutivi di chiusura, per gli attentati terroristici di AlQaeda dell’11 settembre. Cio’ da’ la misura di quanto potente sia stato il crollo.
Il martedi’ nero innescato dalla sindrome cinese e’ costato alle borse americane $600 miliardi, oltre alla perdita di tutti i guadagni del 2007. In sintonia con i mercati globali, anche le principali borse latino-americane hanno subito grossi tonfi: l’indice Bovespa (Borsa di San Paolo) e’ caduto del 4,5%, superato nella performance negativa del Merval di Buenos Aires precipitato del 7,37%, mentre l’Igbc di Bogota’ e’ sceso del 4,53% e il Bmv di Citta’ del Messico del 5,8%.
Tutte e 30 le blue chip del DJIA hanno chiuso in rosso, con in testa General Motors ([[GM]]), seguita dal colosso dell’alluminio Alcoa ([[AA]]) e dal gigante telecom Verizon ([[VZ]]).
L’S&P500 ha registrato la prima serie negativa di cinque sedute consecutive degli ultimi tre anni, e la prima performance mensile in rosso dal giugno 2006. Per l’S&P500 si e’ trattato del peggior calo intraday dal 19 maggio 2003. Solo 3 delle 500 azioni componenti l’indice sono riuscite a chiudere in territorio positivo.
Anche il tecnologico Nasdaq e’ stato colpito da forti pressioni di vendita, con punti deboli Apple ([[AAPL]]), Intel ([[INTC]]), Qualcomm ([[QCOM]]) e Yahoo! ([[YHOO]]). Una flessione giornaliera di queste dimensioni non la si vedeva dal 12 settembre 2002 per il listino hi-tech.
Le vendite massicce in tutta Europa, con l’S&PMIB di Milano a -2.88% e il CAC 40 di Parigi a -3.02% (il Vecchio Continente ha bruciato in un solo giorno 272 miliardi di euro di capitalizzazione) gia’ in apertura avevano depresso la borsa americana, innescando poi la crisi a livello globale su tutte le borse mondiali.
A segnare la seduta di vendite a Wall Street ci aveva pensato, prima dell’avvio delle contrattazioni, il brutto dato macroeconomico comunicato martedi’ mattina, gli ordini di beni durevoli (cioe’ frigoriferi, televisori, computer, lavatrici, lavastoviglie) letteralmente crollati a gennaio con -7.8%.
Completamente ignorati i dati relativamente incoraggianti sul settore immobiliare, con la vendita di case esistenti in progresso del 3% a gennaio, e sulla fiducia dei consumatori, salita a 112.5 punti, oltre le attese degli analisti.
Dai primi commenti a caldo nelle banche d’affari di New York, e’ emerso che gli operatori sono pronti a considerare un generale forte rallentamento dell’economia americana nei prossimi trimestri, con le ovvie conseguenze sul fronte dei tassi di interesse (vedi i dettagli in Target News). Il che fa sembrare profetiche le parole di ieri dell’ex presidente della Fed Alan Greenspan sui rischi di una recessione a fine anno.
La volatilita’ del mercato, misurata dai prezzi delle opzioni quotate, ha registrato un potente rally in parallelo con il sell-off sui mercati azionari. Il VIX (CBOE Volatility Index) e’ arrivato a segnare un rialzo di 6.87 punti (+61%) a 18.02. L’estrema volatilita’ e’ da intendere come un sinonimo di paura da parte degli operatori del mercato azionario.
Ulteriori pressioni di vendita sono state anche originate dall’instabile situazione geopolitica. Un kamikaze talebano si e’ fatto esplodere in una base Usa situata a 60 km da Kabul, provocando decine di morti. Tra gli obiettivi c’era il vice presidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, rimasto illeso.
Sul valutario l’euro ha continuato a guadagnare nei confronti di un dollaro indebolito dalla crisi dele borse. Nel tardo pomeriggio di martedi’ a New York il cambio tra le due valute e’ di 1.3244. In leggero ribasso l’oro. I futures con scadenza aprile sono arretrati di $2.60 a $687.20. In forte progresso infine il prezzo dei titoli di Stato Usa, considerati un rifugio sicuro in fase di turbolenza dei mercati finanziari. Il rendimento sul Treasury a 10 anni e’ sceso al 4.513% dal 4.6310% di lunedi’.