NEW YORK (WSI) – Ancora una giornata “no” a Wall Street, che chiude in forte perdita, in vista di un lungo fine settimana. Gli investitori americani hanno voluto liquidare le loro posizioni: lunedi’ la Borsa Usa restera’ chiusa e non si vuole essere esposti a un nuovo sell-off dei listini globali, magari dettato come oggi dalla Cina.
Il Dow Jones cede il 2,39%, a quota 15.988. L’S&P perde 42 punti, l’1,97%, a quota 1.880. Il Nasdaq lascia sul terreno 119,99 punti, il 2,74%, a quota 4.488.
Lo Shanghai Composite e’ tornato in territorio “orso”, avendo ceduto il 20% dai massimi di fine dicembre. Il rallentamento della seconda economia al mondo continua a preoccupare. Lo si vede anche dall’ennesimo tonfo del petrolio, che a New York ha chiuso per la prima volta in 12 anni sotto i 30 dollari al barile archiviando un’altra settimana di flessioni a doppia cifra.
Il sell-off del petrolio preoccupa anche le banche: tre dei maggiori istituti di credito Usa hanno citato il balzo dei costi associati a prestiti concessi al settore energetico e che si stanno deteriorando. Il timore e’ che ci possa essere un contagio in altri portafogli.
Citigroup, la quarta banca americana per asset, oggi ha annunciato un incremento del 32% di prestiti aziendali deteriorati nel quarto trimestre rispetto allo scorso anno (l’esposizione e’ soprattutto al comparto energetico). Wells Fargo, la numero tre per asset, ha dichiarato oneri per 831 milioni di dollari nel trimestre contro i 731 milioni di un anno prima proprio a causa del greggio. Ieri JP Morgan, la numero uno in Usa, ha detto di “monitorare attentamente” i possibili effetti contagio. Il timore di una frenata della prima economia al mondo ha portato Citigroup a vivere la peggiore seduta in tre anni.
Secondo Larry Fink, presidente e amministratore delegato di BlackRock, che ritiene che Wall Street potrebbe perdere un altro -10%.
Non confortano i dati resi noti in giornata, a eccezione della fiducia dei consumatori:
- male l’indice dei prezzi alla produzione, che ha segnato la flessione più forte in cinque anni, pari a -1% nell’intero 2015. A incidere negativamente sul dato che ora incrementa forti timori sulla deflazione in Usa, soprattutto i prezzi della benzina che solo a dicembre sono scivolati -8,3%, scivolando in tutto l’anno -29%. Immediata la reazione dei Treasuries, con i tassi decennali che hanno perso 10,7 punti all’1,991%, minimo in tre mesi, scontando anche gli altri dati da recessione
- Le vendite al dettaglio sono scese -0,1% a dicembre. In calo anche il dato core, depurato dalle componenti più volatili di beni alimentari ed energetici.
- Molto male l’indice Empire che misura il trend dell’attività economica dello stato di New York, crollato a -19,4 a gennaio da -6,2 di dicembre. Si tratta del minimo dall’aprile del 2009, ovvero dal periodo vicino alla fine dell’ultima recessione.
- le scorte delle aziende sono scese -0,2% a novembre su base mensile, mentre su base annua sono salite +1,6%.
- Nota positiva dall’Università del Michigan: l’indice preliminare della fiducia dei consumatori di gennaio è salito a 93,3 dai 92,6 di dicembre. Si è trattato del quarto guadagno consecutivo su base mensile, al di sopra dei 93 punti attesi.
Tornando alle previsioni del numero uno di BlackRock:
“Siamo nel mezzo di un vero calo dei mercati, che confina con il mercato orso. Ma la velocità con cui tutto ciò sta accadendo lascia pensare a una rivalutazione del rischio, una rivalutazione su dove stiamo andando (…) Credo che non ci sia abbastanza sangue nelle strade. Probabilmente dovremo testare livelli più bassi. E quando testeremo livelli più bassi di mercato, allora ci troveremo di fronte a una opportunità di mercato molto buona”.
Di fatto, se il mercato scendesse di un altro -10% come prevede Fink, si arriverebbe a una situazione di mercato orso.
Effetto petrolio sui mercati, con i prezzi che hanno bucato al ribasso anche la soglia di $30 al barile. A New York, il contratto WTI è crollato di quasi -6%, bucando quota $30, così come il Brent. Le quotazioni di greggio si avviano a concludere la terza settimana in ribasso, sulla scia di segnali secondo cui le esportazioni dell’Iran potrebbero far crescere l’eccesso di offerta rispetto alla domanda.
Sempre meno probabile che Federal Reserve alzi i tassi, nel corso del 2016, per ben quattro volte, come pianificato dalla stessa Banca centrale americana. Secondo gli economisti, i rialzi potranno essere alzati al massimo due volte. Il primo rialzo dell’anno – e il secondo dopo la mossa di dicembre – è atteso per il mese di marzo. E intanto ci si chiede se l’adozione di una politica monetaria restrittiva non sia stata troppo prematura, viste le sfide continue sui mercati.
Intanto JP Morgan crede che la Fed non si aspetta piu’ che la Federal Reserve alzera’ i tassi a marzo. La stretta e’ prevista a giugno.
Sul fronte valutario , gli smobilizzi sul dollaro portano l’euro a salire sopra quota $1,0945, mentre il dollaro accelera al ribasso nei confronti dello yen, sotto la soglia di JPY 117, a JPY 116,6240.