NEW YORK (WSI) – La seduta di venerdì non si può descrivere se non come un tonfo pesante, con le vendite generalizzate che hanno spinto il Dow Jones in ribasso di oltre 530 punti (-3,12%), dopo che l’S&P 500 ha bucato una resistenza chiave.
Il paniere allargato ha bucato la soglia dei 2000 punti per la prima volta dalla fine di gennaio. Ora il listino S&P (-3,19%) è in perdita anche su base annua, per la prima volta dal maggio del 2012. Il Nasdaq ha perso 171 punti (-3,52%).
Nelle ultime due sedute i listini hanno perso più del 5% e si chiude così la peggiore settimana dal 2011 per Wall Street. Non c’è solo un motivo dietro al tracollo delle ultime 48 ore, ma sicuramente il rallentamento della Cina ha influito in negativo. È iniziata la fuga dal rischio in un mercato che ha corso molto nonostante i dubbi circa la ripresa della prima economia al mondo e circa il tempismo del prossimo rialzo dei tassi di interesse Usa.
Il mercato è diviso tra chi è convinto che la prima stretta monetaria dal 2006 arriverà alla riunione di settembre e chi pensa che invece sia troppo presto, dato lo stato di salute dell’economia ma soprattuto dalla bassa inflazione. Secondo gli analisti di Citigroup gli ultimi verbali della Fed sono da interpretare come un segnale che il prossimo mese il rialzo si materializzerà.
Bagno di sangue nel settore biotech, con il sottoindice relativo che ora è in flessione -22% dai massimi, dunque ufficialmente in mercato orso. Il sottoindice ha tra l’altro anche bucato la media mobile a 200 giorni per la prima volta in dieci mesi.
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Di seguito tutti gli elementi, nel dettaglio, che stanno alimentando il nervosismo sulle piazze finanziarie globali: l’instabilità politica in Grecia, che getta nuove ombre sul futuro dell’Eurozona; il crollo delle commodities e delle valute dopo la maxi svalutazione dello yuan lanciata dalla Cina e, dunque, i timori sull’intensificarsi della guerra valutaria; le preoccupazioni sul fatto che, nonostante il quadro preoccupante dell’economia globale, la Fed alzerà comunque i tassi di interesse entro la fine del 2015, se non a settembre, a dicembre.
Wall Street, come i mercati azionari europei e asiatici, continua così a scontare il peggioramento del sentiment, e ieri lo S&P ha chiuso al di sotto della sua media mobile a 200 giorni, per la prima volta dallo scorso 9 luglio, riportando la perdita peggiore in 18 mesi e cedendo -2,7% su base settimanale.
Boom volatilità, con il Vix che si avvia a concludere la settimana con un balzo +49% e che ieri è salito al ritmo maggiore da giugno.
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Intervistato da Bloomberg Francois Savary, responsabile investimenti presso Reyl & Cie, a Ginevra, società che gestisce asset per $11 miliardi circa, ha detto che il calo dello S&P 500 “dimostra che gli investitori stanno mettendo in dubbio la crescita degli Stati Uniti e interrogativi riguardano l’impatto che gli sviluppi in Cina e delle valute avranno sull’economia americana”. Savary spiega: “Non credo che ci siano prove che l’economia mondiale stia rallentando in modo significativo, ma l’incertezza c’è e gli investitori stanno rivalutando le loro posizioni, facendo un passo indietro”.
“A meno che non si faccia parte della categoria dei contrarian più convinti, questo è un momento in cui bisogna essere molto cauti – ha aggiunto Chris Weston, responsabile strategist di mercato presso IG – I mercati Usa hanno resistito bene ultimamente, e sono stati visti come un asset rifugio. Ma questa view ha subito un deterioramento, con lo S&P che ha chiuso al di sotto di un trading range andato avanti per molti mesi”.
Il morale degli investitori è peggiorato ancora dopo gli ultimi numeri sul settore manifatturiero della Cina, scivolato ai minimi di sei anni e mezzo: il dato è stato il peggiore dalla crisi finanziaria globale e ha accelerato il sell off sugli asset più rischiosi.
Delude inoltre anche la pubblicazione delL’indice Pmi Usa stilato da Markit, che è sceso a 52,9 punti in agosto, dai 53,8 di luglio. È il dato più basso da ottobre 2013, ovvero il minimo in ben 22 mesi. Le attese erano per un risultato di 54. Markit sottolinea che “l’inflazione a livello di costi input è aumentata in modo frazionale, ma rimane ben al di sotto della media”.
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Male anche i mercati azionari emergenti, che hanno terminato la peggiore settimana in due anni. Le borse di Taiwan e Indonesia sono entrate in un mercato orso, così come quella di Hong Kong, scontando l’effetto Cina.
Più di $3.300 miliardi sono andati in fumo nell’azionario globale, dopo la decisione della Cina di svalutare lo yuan la scorsa settimana.
Sul mercato dei titoli di stato, focus sui Treasuries, con i tassi decennali che ieri sono crollati fino al 2,07% e che stamattina continuano a perdere terreno, al 2,0679%.
Sul valutario l’euro guadagna lo 0,85% a 1,1338 dollari. Il dollaro cede lo 0,97% a 122,20 yen. La moneta unica scambia a 1,0791 sul franco svizzero (+0,16%) e quota 0,7235 (+0,98%) sulla sterlina. Euro/yen -0,10% a 138,58.
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Prosegue il bagno di sangue anche sulle valute emergenti, con il ringgit malese – al nuovo minimo record in 17 anni- e il won sucoreano – venduto per la quinta sessione in sei giorni – che hanno guidato le perdite. L’indice che monitora le monete di 20 paesi in via di sviluppo stilato da Bloomberg ha esteso la fase ribassista settimanale più duratura dal 2000 dopo le svalutazioni lanciate sia dal Vietnam che dal Kazakistan.
Tra le materie prime per i futures sul petrolio è la seconda striscia negativa peggiore di sempre. I contratti Wti cedono -2,40% a 40,33 dollari al barile. I contratti sul Brent fanno invece segnare un -2,36% a $45,52. L’oro piatto +0,02% a 1.153,40 al barile dopo aver superato ieri una resistenza chiave. Il metallo ha anche toccato i massimi da inizio luglio a 1.168 dollari l’oncia. Argento -2,17% a $15,18.
(Lna-DaC-Lna)