NEW YORK (WSI) – Nuove analisi dimostrano quanto i mercati azionari siano sempre più decorrelati dai fondamentali dell’economia. Un grafico mette in evidenza in particolare la relazione che esiste tra lo S&P 500 e il Pil americano calcolato su base reale. Il valore dello S&P 500 è anche esso reale, nel senso che il listino azionario è considerato una volta operati gli aggiustamenti legati all’inflazione.
Lance Roberts di STA Wealth Management, ricorda come il mercato azionario sia composto da migliaia di società che fanno business, contribuendo all’economia; dunque, “avrebbe senso che il valore dell’azionario riflettesse quello dell’economia. Se l’economia dovesse allentare o accelerare il passo, la stessa cosa dovrebbero fare i valori delle aziende che operano sui mercati”.
“Guardando il grafico si nota come dal 1960 al 1980 l’economia sia cresciuta più velocemente dei prezzi dei corsi azionari, dal momento che gli Stati Uniti erano una potenza manifatturiera tra i paesi industrializzati del dopo Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, a iniziare dal 1982, l’economia iniziò a trasformarsi da una basata sulla produzione e sull’attività manifatturiera a un’economia di servizi, soprattutto di finanza. Il calo a 30 anni dei tassi di interesse e dell’inflazione provocò un aumento della domanda per il credito, fino a un punto tale che il tenore di vita crebbe più dell’economia e dei salari. Tra il 1982 e il 2000, i prezzi del mercato prima si agganciarono alla crescita dell’economia reale, e poi la superarono. Entrando nel nuovo secolo, i prezzi hanno continuato a spingere verso l’alto, complici i cali continui delle pressioni inflazionistiche e dei tassi di interesse”, rafforzati tra le altre cose anche dalle ripetute iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve.
Il risultato è che “a partire dal 2000 il prezzo del mercato ha superato il tasso di crescita dell’economia sottostante”.
Dunque nell’ultimo decennio in particolare, l’ingegneria finanziaria ha distorto la relazione tra i mercati finanziari e l’economia. Le società hanno fatto ricorso a diversi strumenti “per mantenere i prezzi degli asset a fronte di una crescita economica debole”.
Di fatto, stando a quanto ha scritto in un report Goldman Sachs, “per garantire la crescita della redditività, nonostante una crescita del fatturato abbastanza debole, le aziende hanno utilizzato quattro armi principali: la riduzione degli stipendi, l’aumento della produttività, la soppressione del lavoro e i buyback azionari. Il problema è che ognuno di questi strumenti crea un miraggio di redditività aziendale”, soprattutto se si considera, sottolinea Goldman, che secondo le stime le spese in contanti delle aziende scambiate sullo S&P 500 cresceranno nel 2015 del 12% a $2.300 miliardi, e che di queste il 51% sarà utilizzato per gli investimenti, a fronte di un 49% che servirà agli azionisti.
Gli analisti di Goldman prevedono che le aziende dello S&P 500 utilizzeranno di fatto circa $740 miliardi sotto forma di spese in conto capitale nel corso dell’anno prossimo, con un tasso di crescita del Capex del 6%, inferiore all’8% del 2014. D’altronde, è proprio questo il punto. L’assenza di domanda non giustifica un aumento di spese in conto capitale. (Lna)[ARTICLEIMAGE]
Fonti da cui è stato tratto l’articolo
Why The Stock Market Is Detached From The Economy