NEW YORK (WSI) – Chiude con il segno più la seduta della Borsa Usa mentre si valutano le conseguenze dello shutdown del governo federale. Nel finaale, il Dow Jones guadagna lo 0,41% a 15.192 punti, fa meglio il Nasdaq in progresso dell’1,23% a 3.818 punti mentre lo S&P 500 cresce dello 0,80% a 1.695 punti.
Il petrolio ha chiuso la seduta in ribasso: i future con consegna novembre hanno perso 29 centesimi, lo 0,3%, a 102,04 dollari il barile. Nel frattempo, i titoli di Stato americani proseguono negativi con rendimenti in aumento al 2,65% per il bond decennale e al 3,71% per il bond trentennale. Sui mercati valutari, l’euro cresce a 1,3532 dollari e il biglietto verde cala a 97,86 yen.
Lo ‘shutdown’ parziale del governo, che da ieri per un mancato accordo tra Repubblicani e Democratici si è ritrovato senza fondi, rappresenta un “rischio per l’economia mondiale”, secondo il Premier britannico David Cameron e l’irresponsabilità dei politici di Washington potrebbe costare caro alla maggiore potenza mondiale.
Per l’esattezza l’evento straordinario, che non si verificava da 17 anni, costerà 200 milioni di dollari al giorno. In rapporto al Pil, uno ‘shutdown’ di due settimane avrà un impatto negativo sul Pil dello 0,3%. Se si prolungherà per un mese, inciderà invece con un’erosione dell’1,4% sulla crescita.
La situazione è drammatica, la “peggiore dalla seconda guerra mondiale”, per usare le parole di Barack Obama. Ma non è niente a confronto con quello che potrebbe avvenire tra un paio di settimane. A metà ottobre, infatti, è in agguato un pericolo ben più grande per l’America: se il tetto sul debito non dovesse venire innalzato, le conseguenze sarebbero più gravi di un parziale fallimento del budget.
In questo caso l’impatto sarebbe difficile da misurare, ma indubbiamente enorme. E anche se il tetto dovesse venire innalzato prima della scadenza, verrebbero recati danni ingenti alla ripresa economica, facendo appararire modesti, in confronto, i costi dello ‘shutdown’.
La soglia del debito pubblico ammonta al momento a 16.700 miliardi di dollari e verrà oltrepassata il prossimo 17 ottobre. Se non si dovessero trovare i finanziamenti, non solo l’amministrazione Obama non sarebbe più capace di operare, ma nemmeno di onorare i debiti e il risultato sarebbe una possibile crisi del debito sovrano Usa.
Indicazioni positive sono intanto arrivate sul fronte macro. Nel mese di settembre, l’indice Ism manifatturiero è salito a quota 56,2 punti. Gli analisti avevano previsto un valore a 55 punti, contro i 55,7 di agosto ai massimi da due anni e mezzo.
Notizie a luci e ombre sono arrivate sul fronte delle vendite auto con i tre big che, nel mese di settembre, hanno mostrato un andamento delle immatricolazioni negli Stati Uniti in ordine sparso. In particolare, Chrysler ha venduto 143.017 unita’, con un aumento dell’1% rispetto alle 142.041 unita’ dello stesso periodo nel 2012. Molto bene anche Ford Motor che, nel mese scorso, ha visto crescere del 6% le immatricolazioni a 185.146 unità dalle 174.976 dello stesso periodo dell’anno scorso, registrando il migliore settembre dal 2006 e l’undicesimo mese di rialzi consecutivi. Le vendite dei primi nove mesi dell’anno sono aumentate del 12% a 1,893 milioni. Settembre negativo invece per Gm, che ha comunicato immatricolazioni in calo dell’11% a 187.195 unita’. Nei primi nove mesi dell’anno e’ stato invece registrato un rialzo del 7,6%.
In ambito valutario, Il rapporto euro/yen è sceso di ben 100 punti base a un certo punto nella giornata, mentre l’euro/dollaro ha registrato anche una flessione di quasi 50 punti base. L’euro fa +0,16% a $1,3546; dollaro/yen -0,47% a JPY 97,75; euro/franco svizzero +0,02% a CHF 1,2243; euro/yen -0,32% a JPY 132,41.
Sul versante delle commodities, i futures petrolio -0,40% a 101,92, oro +0,21% a 1.329,30.