Clelia Tosi (CeTIF): ecco come la tecnologia rivoluzionerà i processi e i servizi offerti
Il Digital Wealth Management rappresenta l’evoluzione spinta dalla tecnologia nei processi, servizi e prodotti che un intermediario utilizza per soddisfare, con un elevato grado di personalizzazione, le esigenze finanziarie e non dei propri clienti.
Su questo tema chiave per il presente e il futuro del mondo del wealth management si è discusso lo scorso 7 febbraio in occasione del primo meeting dello Steering Committee del Digital Wealth Management HUB di CeTIF – Università Cattolica del Sacro Cuore. Ci aiuta a capire qual è lo stato dell’arte e quali saranno le tendenze digitali che caratterizzeranno il settore, Clelia Tosi, senior research manager del Digital Wealth Management HUB, coordinatrice della nuova ricerca CeTIF – Università Cattolica del Sacro Cuore sul tema.
E’ indubbio che la trasformazione digitale del wealth management sia un processo in pieno sviluppo. Ma quali sono le forze alla base di questo movimento?
«C’è ancora molta strada da fare ma i motori di questa trasformazione sono diversi e tutti giocano a favore. La spinta normativa ricopre un ruolo importante. Anche se è imposta dall’alto, viene vissuta come un’opportunità da parte di tutti gli attori del mondo del wealth management. Stiamo parlando di MiFID2, IDD e poi GDPR.
La necessità di adempiere a questi obblighi normativi, sostenuta da una corretta strategia digital, consente di ottenere informazioni utili per arrivare a conoscere al meglio le esigenze del cliente e poterlo servire dandogli il valore aggiunto di cui ha bisogno».
Ma è possibile che le banche private siano spinte dall’idea di avere un vantaggio competitivo per il cliente…
«Certo, il vantaggio portato dalla Digital Transformation consente di migliorare la conoscenza del cliente ma soprattutto di efficientare la gestione delle attività operative della banca e del banker. Il punto principale è infatti riuscire ad alleggerire il carico amministrativo dei banker e dare strumenti più efficaci per alzare la qualità del proprio lavoro.
Da questo punto di vista il banker è il principale“cliente” al centro della trasformazione digitale della banca. In questo senso lo sviluppo di Robo Advisor e quindi la creazione di portafogli automatizzati non è attualmente la priorità strategica delle banche private che vedono la relazione personale come ancora fondamentale: le soluzioni di Digital Wealth Management costituiscono un servizio che la banca offre in primo luogo al proprio professionista per abilitare ad una più efficace relazione con il cliente finale.
A livello wealth la relazione personale è fondamentale. Dunque le soluzioni di digital wealth management costituiscono un servizio che la banca e gli istituti offrono sì al cliente ma prima di tutto al proprio professionista».
Qual è il ruolo che occupano i big data in questo processo?
«Il tema è molto sentito. Operativamente si stanno prendendo alcuni modelli utilizzati a livello del retail per la gestione della clientela al fine di individuare quali singoli aspetti possono essere utili nel modello di servizio private.
Sul cliente la questione di come usare i big data è un po’ più delicata alla luce del GDPR. Vanno bene per analizzarne meglio i comportamenti, le caratteristiche e le esigenze. Ma quando si entra nel rapporto diretto, faccia a faccia, è necessaria molta sensibilità nell’utilizzarle e nel giustificarne l’utilizzo per un aumento del valore aggiunto per il cliente».
Quanto conta il change management nella trasformazione digitale?
«Fondamentale risulta l’atteggiamento delle direzioni bancarie nell’agevolare la trasformazione digitale e a concentrare i propri sforzi su progetti dedicati che possano efficientare i processi, il rapporto del banker con la propria azienda e con il cliente.
Abbiamo già evidenze in ambito retail, ad esempio, da quegli istituti che hanno realizzato, per volontà delle direzioni, progetti digitali atti a migliorare la user experience dei clienti e del banker nel rapporto con l’istituto.
In essi, rispettivamente, indagini di customer satisfaction e di clima hanno potuto rilevare un miglioramento del rapporto con la banca».
Questa trasformazione può far da leva sui contatti prospect per renderli nuovi clienti?
«Sì, ma alla base di tutto è fondamentale avere un buon Crm (Customer relationship management) ovvero un valido sistema supportato da soluzioni tecnologiche per gestire in modo efficace la relazione coi clienti, attuali e prospettici.
Anche in questo caso il mondo wealth sta cercando di valorizzare l’esperienze del retail e declinarle opportunamente sul segmento wealth».
Come stanno gestendo le banche private l’introduzione della tecnologia?
«La maggior parte degli istituti partecipanti alla nostra ricerca mostra di aver già avviato il processo di Automation di specifiche fasi della prestazione del servizio di wealth management.
Le modalità concrete di realizzazione di questi progetti vanno soprattutto nell’ottica della strategia di Open Banking attraverso l’acquisizione di servizi in outsourcing da soggetti terzi, come le software house, o partnership con imprese FinTech mentre è meno sviluppato un approccio di sola innovazione in house, cioè interna.
Con questa impostazione la tecnologia non metterà fuori gioco le boutique private ma costituirà un’opportunità per quelle che troveranno sul mercato le soluzioni tech più adatte alle proprie esigenze».
Dunque in Italia la digitalizzazione nel wealth management si pone soprattutto come fattore evolutivo e non per forza dirompente…
«Assolutamente. E’ uno degli aspetti più importanti portati alla luce del nostro tavolo di lavoro che rafforza le evidenze di una recente indagine firmata Consob. I risultati dimostrano che l’interazione tra cliente e professionista della consulenza resta un fattore critico di successo che orienta il mercato verso la valorizzazione della relazione umana anche nell’ambito di un rapporto in cui alcuni processi sono automatizzati. Anzi. Proprio la tendenza all’automazione a cui si sta assistendo di una o più fasi del processo del rapporto è strumentale ad ampliare gli spazi che il professionista può dedicare alla cura del cliente».
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.