Tutto pronto, o quasi, per inserire la web tax nella Finanziaria. Un tassa che andrà a colpire i redditi dei giganti di Internet residenti in Italia e che, viaggerà sul binario delle imposte indirette.
Come confermato dal governo, l’ipotesi più probabile è quella che costringerebbe i giganti del web a pagare al fisco tra il 6 e l’10% del reddito prodotto, Misura perfettamente in linea con l’idea prevalente tra gli stati membri della Ue che è appunto quella di colpire i fatturati.
Si tratta di cifre sono importanti anche nel nostro Paese. Come scrive il Sole 24 Ore:
Ponendo l’8% come punto di approdo del progetto del governo, la web tax così ipotizzata avrebbe triplicato le tasse 2016 di Facebook Italia (da 260mila euro a 744mila, su 9,3 milioni di fatturato) e anche quelle di Twitter (da 170mila euro a 408mila, su 5,1 milioni di fatturato della divisione italiana).
Nella formulazione del Mef,
la tassa fissa sul ricavato – scrive il Sole 24 Ore – si applicherebbe solo ai gruppi che non aderiscono alla compliance volontaria prevista dalla web tax del 2016 (nota col nome del suo proponente, il parlamentare Francesco Boccia), che prevede l’accettazione dello “status” di stabile organizzazione in Italia.
Restano tuttavia dei dubbi che la partita web tax venga chiusa già nell’ambito del decreto legge fiscale – quindi entro venerdì prossimo – per una serie di motivi.
Il primo è che il dossier, molto delicato, verrà preso in carico direttamente dal premier Paolo Gentiloni – questo asset è l’unico versante che può incrementare esponenzialmente il gettito fiscale, e a costo zero – e soprattutto è difficile che il governo voglia tagliare la strada alla Commissione europea che sul punto sta cercando da più di un mese una difficile mediazione.
Sembra quindi più verosimile che l’ipotesi dei tecnici di via XX Settembre sarà stralciata dal decreto legge per essere incardinata in Parlamento, con una dilatazione dei tempi utile ad attendere, tra l’altro, gli sviluppi delle trattativa in corso sui tavoli di Bruxelles. In questo modo l’Italia eviterebbe di staccarsi dal comitato dei quattro (Germania, Francia e Spagna insieme a Roma) che a breve potrebbe iniziare un percorso comune anche fuori dai vincoli dei 27 (cooperazione rafforzata in materia fiscale).