Roma – Nel 2000 la Commissione europea si era data un obiettivo: portare l’occupazione femminile al 60% nell’arco di dieci anni. Poi, il traguardo è stato via via spostato in avanti. E oggi si parla del 75% nel 2020. Grazie soprattutto alle performance dei Paesi scandinavi, attualmente nella Ue lavorano in media 58 donne su cento.
L’Italia è ben lontana: secondo l’Istat, il tasso di occupazione femminile nel 2010 era fermo al 47,2% (frutto di una media tra il 30,8 del Sud e il 56,9 del Nord-Est). Stavamo, insomma, più avanti solo a Malta. In Francia le statistiche parlano del 64,6%. E in Germania del 71,1%.
Da noi, negli ultimi 15 anni, è stata appannaggio delle donne la maggior parte dei nuovi posti di lavoro. Nonostante ció, è ancora molto alto il gap con gli uomini, che vantano un tasso di occupazione del 66,7 per cento. La differenza è dunque dell’ordine dei 20 punti.
Una strada percorribile ci sarebbe pure. Se ne parla da anni. E con maggiore insistenza negli ultimi mesi. Si tratterebbe di detassare stabilmente (riducendo l’Irpef) il lavoro femminile, accettando una riduzione tout court del gettito fiscale, o prevedendo una compensazione attraverso un innalzamento delle aliquote sul lavoro maschile.
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