ROMA (WSI) – Mentre si attende il meeting annuale di Davos, al via domani, al World economic forum (Wef) si parla di progresso tecnologico in un senso che, a prima vista, potrebbe non rendere entusiasti: l’aumento della disoccupazione dovuto alla automazione di alcune mansioni lavorative.
L’effetto netto sull’occupazione, nelle 15 economie più sviluppate ed emergenti (pari al 65% della forza lavoro mondiale), sarà di 5,1 milioni di posti di lavoro in meno entro il 2020. Tutti i dettagli sono contenuti nel report del Wef intitolato “The future of jobs”, pubblicato ieri. Il totale dei posti di lavoro sorpassati dal progresso sarebbero 7,1 milioni, bilanciati in parte dalla creazione di 2,1 nuovi posti in aree specializzate (soprattutto nei settori dell’architettura, dell’informatica, dell’ingegneria). Secondo Klaus Schwab, fondatore e presidente del Wef:
Senza azioni urgenti e mirate compiute oggi tali da gestire la transizione a breve termine e costruire una forza lavoro con capacità “a prova di futuro”, i governi dovranno fronteggiare la crescita della disoccupazione, della diseguaglianza e delle imprese con una base di utenza calante.
E’ opportuno anche fornire una proporzione sui numeri forniti dal Wef: i 5,1 milioni di disoccupati in più, nel campione esaminato, corrispondono a un aumento dello 0,3% in quattro anni.
A pensare che tali conseguenze dell’avanzata tecnologica non siano poi così rilevanti è la rivista Forbes, che, nel commentare il report del Wef, ne lamenta scarsa considerazione del ricambio continuo nei lavori, “che implica sempre una certa evoluzione tecnologico”.
Pertanto, secondo Forbes, il Wef “sta guardando grandezze statiche e non sta considerando come avvenga realmente il processo” di mutamento del mondo del lavoro.