Sana’a – Nuova imponente manifestazione dell’opposizione in Yemen. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza anche oggi in piazza del Cambiamento, a Sanàa, per chiedere le dimissioni del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione “Dpa”. Intanto giungono notizie di scontri tra manifestanti antigovernativi e le forze di sicurezza ad Aden, nel sud del paese, dove gli agenti hanno aperto il fuoco sulla folla.
La manifestazione si tiene all’indomani dell’uccisione di oltre 50 dimostranti nella capitale negli scontri con gli agenti antisommossa. Saleh, a seguito delle violenze di ieri, ha proclamato lo stato d’emergenza per 30 giorni.
Subito dopo la strage il ministro yemenita del Turismo, Nabil al-Fakih, si è dimesso dal governo e dal partito di maggioranza in segno di protesta.
E’ salito a 52 morti e 127 feriti il bilancio della strage compiuta ieri da cecchini appostati sui tetti contro i manifestanti dell’opposizione nella capitale dello Yemen, Sanaa.
La protesta nello Yemen si e’ trasformata in un inferno anche nella capitale: decine di manifestanti dell’opposizione sono stati massacrati a Sanaa da non meglio identificati ”cecchini” appostati sui tetti. Poco dopo e’ stato dichiarato lo stato d’emergenza. E’ finita cosi’ la grande protesta, migliaia di persone scese in piazza per quello che doveva essere il ”Venerdi’ dell’avvertimento” convocato dall’opposizione, che da mesi chiede la fine del regime del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni.
Un bagno di sangue che ha suscitato lo sdegno di molte cancellerie occidentali, a cominciare dal presidente Usa, Barack Obama, che e’ intervenuto rivolgendo allo stretto alleato yemenita la sua ”ferma condanna”. Il regime ha fatto di tutto per mostrarsi estraneo alla strage, e il presidente Saleh, dopo aver decretato lo stato d’emergenza, ha espresso ”rincrescimento” per i morti – 25, secondo il bilancio ufficiale del ministero degli interni – che ha definito ”martiri della democrazia” ed ha annunciato l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle circostanze delle uccisioni ”in tutte le citta’ yemenite”.
Il presidente ha assicurato quindi che ”la polizia non era presente e non ha percio’ sparato. C’erano elementi armati”, ha aggiunto. I testimoni riferiscono che stamani sulla piazza dell’ Universita’ di Sanaa, divenuta ormai la sede di un sit-in permanente dell’opposizione dallo scorso 21 febbraio contro il regime, i manifestanti che si erano radunati sono stati bersagliati dall’alto da ”cecchini” appostati sui tetti degli edifici circostanti. ”La maggior parte dei feriti sono stati colpiti da proiettili alla testa, al collo o al petto”, dice un medico, mentre su Facebook circolavano foto, diffuse dagli oppositori, che mostrano giovani colpiti al volto e alla testa dalle pallottole.
I manifestanti hanno combattuto con i cecchini, hanno ripetutamente tentato di penetrare negli edifici dove questi si asserragliavano, riuscendo – dice un giornalista dell’Afp – a catturarne sei. Uno dei cecchini e’ precipitato da un tetto, non e’ chiaro se gettato dai manifestanti inferociti o caduto nel tentativo di scappare. Ma anche la polizia, secondo il racconto dei testimoni che smentirebbero il presidente, era presente ed ha lanciato granate lacrimogene contro i manifestanti, usando anche proiettili veri.
Dall’Occidente oggi e’ piovuta su Sanaa una grandinata di critiche: ”Condanno nel modo piu’ deciso le violenze avvenute oggi nello Yemen”, ha detto Obama, che ha esortato il presidente Saleh a ”mantenere la sua promessa di autorizzare le manifestazioni che si svolgono pacificamente”. Deplora la strage anche Parigi, mentre la responsabile della politica estera europea, Catherine Ashton, si dice ”costernata”. Anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha dichiarato la sua ”severa condanna” della strage di Sanaa, esortando il regime yemenita al dialogo.
SIRIA: PROTESTE, ALMENO 4 MORTI E DECINE DI FERITI
di Lorenzo Trombetta – Ansa
Almeno quattro morti, decine o forse centinaia di feriti e una città nel sud della Siria asserragliata e presidiata dalle forze di sicurezza, protette da elicotteri e carriarmati: è il bilancio di un pomeriggio di sangue in quello che fino a qualche giorno fa veniva descritto come il Paese arabo che sarebbe rimasto indenne dall’ondata di mobilitazioni anti-regime in corso nella regione.
Le quattro vittime, “martiri” per i manifestanti, uccise oggi a Daraa, 120 km a sud della capitale, sono tutti giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Appartengono alle influenti tribù del sud della Siria, tradizionalmente ostile al regime baatista al potere da quasi mezzo secolo, e alla famiglia degli al-Assad, ai vertici del sistema con i loro clan alleati da 40 anni. Le manifestazioni erano state indette da ieri in tutte le città del Paese sui social network dopo che in soli tre giorni Damasco era stato teatro di raduni e cortei anti-governativi senza precedenti.
La giornata di oggi era stata battezzata “venerdì della dignità” ed erano stati chiamati a partecipare “tutti i siriani liberi contro l’oppressione e l’ingiustizia degli al-Assad”. Le notizie sono giunte a partire dalla tarda mattinata dai forum e dai siti Internet di informazione indipendente, gli unici in grado di raccontare mobilitazioni anti-governative in un Paese che da decenni reprime ogni forma di dissenso.
Un centinaio di fedeli-manifestanti si sono riuniti nella Grande Moschea degli Omayyadi, nel cuore della città vecchia di Damasco. Al termine della tradizionale preghiera comunitaria, hanno preso a scandire slogan in favore della “libertà”, oltre all’immancabile “Allahu Akbar” (Iddio è il più grande). Decine di loro hanno tentato invano di proseguire in corteo fuori dall’antico tempio, ma sono stati dispersi da agenti di sicurezza in borghese e in divisa armati di manganelli.
Poco dopo, si sono diffuse notizie di manifestazioni e raduni analoghi anche a Homs, città a maggioranza sunnita 80 km a nord di Damasco, luogo natale della ‘first lady’ Assma al Akhras al Assad, e del primo ministro, suo zio, Muhammad Naji al Otri. Da Homs, il flusso di notizie sui social network si è spostato a raccontare, tramite testimonianze, foto e soprattutto video amatoriali, la mobilitazione anti-regime a Dayr al-Zor, importante centro sull’Eufrate all’estremo est del Paese, dove una partita di calcio è stata addirittura interrotta a causa delle agitazioni inscenate da migliaia di dimostranti.
Dai confini con l’Iraq l’onda di protesta è giunta alla costa mediterranea: nella cittadina di Banyas, una delle roccaforti dei clan alawiti (branca dello sciismo a cui appartengono gli Assad e le famiglie a loro alleate). Qui centinaia di giovani e meno giovani, tutti uomini, si sono radunati dopo la preghiera e hanno ascoltato la lettura di un “documento rivoluzionario”, da parte di uno shaykh religioso locale, in cui si chiede il rilascio di tutti i prigionieri politici, la fine dell’esilio forzato a tutti i dissidenti all’estero, l’abrogazione dello Stato d’emergenza in vigore dal 1963 (data dell’avvento del Baath) e la creazione di posti di lavoro per i giovani.
Dalla tensione di Damasco, Banyas, Homs e Dayr az Zor alle violenze di Daraa, a pochi km dal confine con la Giordania. Stando alle ultime informazioni fornite dai testimoni oculari citati dagli attivisti che trasmettono tramite Twitter, Youtube e Facebook (un gruppo “Rivoluzione siriana contro Bashar al-Assad” ha superato 50.000 adesioni), la città meridionale é attualmente assediata dalle forze di sicurezza. Elicotteri atterrati nel locale stadio avrebbero trasportato truppe anti-sommossa da Damasco.
Dalla capitale sarebbero giunti decine carri armati e in città sarebbe entrato in vigore il coprifuoco. L’agenzia ufficiale Sana, che ha fornito la versione ufficiale di quanto accaduto oggi a Daraa, ha attribuito “i disordini” a “infiltrati” che hanno commesso “atti vandalici”, costringendo “le forze di sicurezza a intervenire nell’interesse dei cittadini”. E su Facebook, gli attivisti ora denunciano: “i servizi di sicurezza e gli uffici locali del Baath stanno contattando tutte le scuole della regione di Daraa per inscenare domani una mega-mobilitazione in favore del regime”.
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Sale il bilancio delle vittime nello Yemen, a seguito della violenta repressione delle forze dell’ordine contro una manifestazione pacifica che è iniziata stamattina nella capitale Sana’a. Si parla di almeno 40 morti, un numero destinato però a salire. Nella città di oggi, altre dimostrazioni anti-governative si sono svolte in altre città, incluse Taiz, Ibb, Hodeidah, Aden e Amran. L’esercito ha poi distrutto il monumento di Piazza della Perla, che era diventato simbolo delle rivolte.
Lo Yemen, il paese più giovane e povero del mondo arabo, è stato colpito dall’effetto domino delle proteste che hanno interessato i paesi del Nord Africa e che si sono tradotti nel rovesciamento dei leader in Tunisia e Egitto. Altre manifestazioni sono in corso anche negli stati del Bahrain, dell’Oman e dell’Arabia Saudita.
Il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha dichiarato che lascerà il potere soltanto alla scadenza del termine, ovvero nel 2013. Il realtà il massacro di oggi non è seguito neanche a una vera e propria protesta. Decine di migliaia di persone si erano infatti semplicemente raccolte lungo la strada della Sana’a University per pregare in onore dei sette manifestanti che erano stati uccisi lo scorso week end. Ma le forze dell’ordine hanno iniziato a disperdere la folla e alcuni uomini hanno sparato contro i dimostranti con i Kalashnikov dai tetti delle case vicine. Tra i feriti si registrano anche bambini. “Mio fratello ha 12 anni, gli hanno sparato due volte, una volta in un braccio e un’altra volta alla gamba “ha urlato un uomo, secondo quanto riporta il Guardian- Saleh preferisce ammazzarci tutti piuttosto che dimettersi”.
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Assume le dimensioni di un’autentica strage il bilancio delle vittime della repressione di una manifestazione oggi a San’a, capitale dello Yemen. Secondo fonti mediche le vittime del fuoco di militari e forze dell’ordine è di almeno 30 morti. Il numero dei feriti è nell’ordine delle centinaia secondo testimoni ad aprire il fuoco, oltre alle forze dell’ordine, sono dei partigiani del regime. “la maggior parte dei feriti sono stati colpiti alla testa, al collo e al petto” ha detto un medico lasciando capire che chi ha sparato lo ha fatto per uccidere. Anche la polizia, in ogni caso, oltre a sparare lacrimogeni ha usato pallottole vere.
Le forze di sicurezza saudite “colpiranno” chiunque metta a rischio la sicurezza e la stabilita’ del regno: e’ il monito del re Abdullah, che in una rara apparizione in tv ha messo in guardia i cittadini contro eventuali disordini. Proprio giovedi’ sera, migliaia di sciiti sono scesi in piazza nella citta’ orientale di Qatif per protestare contro l’invio di truppe nel vicino Bahrein.
Le forze di sicurezza sono intervenute sparando lacrimogeni e colpi di avvertimento in aria. Il sovrano, parlando alla tv di stato Al-Ekhbareya, ha anche annunciato un pacchetto di aiuti per i cittadini, tra cui innalzamento dei sussidi di disoccupazione, borse di studio, investimenti per gli alloggi e per l’assistenza sanitaria .