Nella guerra commerciale Usa-Cina, l’ultimo schiaffo arriva dalla Cina. Le minacce di una nuova ondata di dazi da parte di Washington mette sotto pressione lo yuan, che questa mattina ha bucato la soglia dei 7 yuan per un dollaro.
E’ la prima volta dal 2008 che lo yuan onshore supera questa soglia anche psicologica che viene normalmente difesa da Pechino e dalla Banca centrale cinese. Un movimento – spiega la Banca centrale cinese (Pboc) in una nota, “dovuto agli effetti delle misure unilaterali e protezioniste” degli Stati Uniti e “all’attesa di dazi contro la Cina”.
Il forte indebolimento della valuta cinese è arrivato dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha inaspettatamente annunciato nuove tariffe nei confronti dei beni importati dalla Cina, che entreranno in vigore a partire dal 1 settembre.
“Penso che questa sia chiaramente una rappresaglia che in passato la Cina si è astenuta dal fare”, ha detto oggi Claudio Piron, strategist presso la Bank of America Merrill Lynch Global Research.
Sulla stessa linea i commenti del presidente Usa, Donald Trump che, in un tweet, ha accusato la Cina di manipolazione valutaria:
“La Cina ha abbassato il prezzo della sua valuta a un livello basso quasi senza precedenti. Questa si chiama ‘manipolazione valutaria’. Federal Reserve, stai ascoltando? Questa e’ una grossa violazione che nel tempo indebolirà notevolmente la Cina”. Il riferimento alla Fed è dovuto al fatto che secondo Trump la banca centrale Usa non ha abbassato i tassi abbastanza come lui vorrebbe. La settimana scorsa la Fed ha tagliato i tassi per la prima volta dal dicembre del 2008.
Dal canto suo, la banca centrale cinese ha respinto le accuse di Trump. In una nota il governatore della People’s Bank of China, Yi Gang, ha spiegato che lo yuan non viene usato da Pechino come uno strumento a cui ricorrere nelle dispute commerciali. “Sono pienamente fiducioso che lo yuan resterà una valuta forte nonostante le fluttuazioni recenti dovute a incertezze esterne”.
Secondo il Wall Street Journal, le minacce di Trump alla Cina sono arrivate nonostante la contrarierà di quasi tutta la sua squadra dedicata alle questioni commerciali. Solo il ‘falco’ Peter Navarro non si era schierato contro la nuova mossa dell’inquilino della Casa Bianca nel corso di una riunione nello Studio Ovale.
L’escalation di tensioni tra le due potenze economiche ha mandato in profondo rosso le Borse asiatiche. Dopo Tokyo, con il Nikkei che ha perso l’1,74%, hanno chiuso con decisi ribassi anche l’indice Kospi a Seul (-2,56% a 1.946 punti), lo Shanghai composite index (-1,6% a 2.821,50 punti) e l’Hang Seng a Hong Kong (-2,9% a 26.151,32 punti).