INDAGINI GIUDIZIARIE & DEMERITO CREDITIZIO
Quando la banca si sostituisce al giudice naturale
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“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.” 2° comma, articolo 27 Costituzione.
Voglio introdurre il tema di oggi partendo da una fondamentale garanzia di rango costituzionale per affermare che, ahimè, sovente, il merito creditizio viene revocato o comunque compromesso da una semplice indagine giudiziaria.
Da sempre sappiamo che il “fido bancario”, per un imprenditore, costituisce, insieme al capitale proprio, una delle principali fonti di finanziamento quale indispensabile supporto per l’acquisto di fattori produttivi (impianti, automezzi, materie prime etc.).
E’ altresì noto che gli affidamenti concessi dal sistema creditizio ad un’attività imprenditoriale vengono commisurati ad una serie di motivazioni strettamente connesse tanto alla natura dell’impresa (finalità e oggetto sociale) che alla moralità degli amministratori, ovvero alla consistenza patrimoniale desumibile dalle informazioni di bilancio. Spesso, in presenza di eccessivi rischi di solvibilità, per la concessione del fido giungono in soccorso garanzie di terzi estranei all’impresa, considerate indispensabili per ridurre significativamente il rischio del credito da parte delle banche, consentendole di rientrare con relativa facilità, nel caso di una errata e/o troppo generosa valutazione del cliente.
Il “fido bancario” può assumere variegate formule; si va dallo smobilizzo crediti (sconto cambiali, anticipazioni su fatture attive) ai prestiti bancari (apertura di credito in conto corrente, anticipazioni in conto su titoli merci), ai crediti di firma (impegno verso terzi al pagamento di una cambiale tratta o a rilasciare lettere di credito).
Dopo svariati anni di reciproca soddisfazione, allorquando l’azienda e per essa l’imprenditore raggiunge lusinghieri traguardi commerciali in termini di know-how e di fatturato complessivo, in modo del tutto inatteso, può arrivare una inchiesta dell’Autorità giudiziaria o, addirittura, una misura cautelare in danno del cliente affidato.
In tali situazioni, per quanto eccezionali, dobbiamo partire dal basilare concetto che l’avvio di una inchiesta penale giudiziaria, non significa una sicura condanna né una morte civile ancor prima di qualunque sentenza di un organo giudicante.
Capita tuttavia che, in situazioni simili, l’imprenditore venga “invitato” da parte della banca e per esigenze di auto tutela, a rientrare dagli affidamenti erogati con particolare celerità.
Tali provvedimenti, assunti nella immediatezza della vicenda giudiziaria, possono provocare nella vita dell’impresa, effetti dannosi irreversibili di tale entità da provocarne il dissesto definitivo e quindi infliggere anzitempo una condanna ben superiore a qualunque giudizio processuale.
Personalmente, mi è capitato di scorgere in questi atteggiamenti, una gestione superficiale e ipocrita che, se da un lato non aiuta l’attività investigativa della magistratura, dall’altro interferisce con modalità impropria in una corretta dinamica imprenditoriale.
A mio avviso, invece, in presenza di una indagine giudiziaria ed indipendentemente dalle ipotesi accusatorie, nessun allarmismo parrebbe giustificarsi a condizione che:
- il “fido bancario” sia stato concesso sulla base di una valutazione attenta, ponderata e costruttiva nel rispetto della normativa vigente;
- il cliente non ha mai dato luogo a rilievi, per trasparenza nella condotta, per la puntuale osservanza delle regole contrattuali ed etica professionale, pur nell’ambito dei rispettivi ruoli e funzioni;
- l’analisi dei rapporti in essere, avuto riguardo alla operatività nel loro complesso, abbia sempre risposto alla tipologia e natura dell’attività imprenditoriale (modalità di alimentazione e/o di addebito dei conti correnti gestiti coerentemente all’attività economica esercitata, emolumenti ai dipendenti, pagamento imposte e tasse etc.);
- i costi sostenuti ovvero i ricavi conseguiti, risultino strumentali all’esercizio della riferita e dichiarata attività economica.
Se ho esercitato nel tempo questa funzione di attento osservatore dei rapporti, ancora meno si comprenderebbe qualunque atteggiamento di chiusura se non di aperta ostilità in danno del malcapitato cliente incappato nelle infernali maglie della giustizia.
Per concludere, in situazioni della specie descritta, ben venga una maggiore prudenza e ponderazione nella misura in cui la stessa possa servire ad accertare il corretto utilizzo degli “affidamenti”, secondo le reali esigenze e finalità aziendali, onde allontanare utilizzi impropri delle provviste (appropriazioni indebite, malversazioni, bancarotte preferenziali etc.).
La serenità di un cittadino o, in particolare di un imprenditore, non può e non deve essere compromessa da una “informazione di garanzia”, ancor prima del processo penale, notoriamente considerato da illustri giuristi, quale luogo concepito per i galantuomini, riservando ai soli e veri delinquenti le sanzioni del codice penale.
Intanto, così è, se vi pare!